L'abbazia di Novalesa
L'abbazia dei Santi Pietro e Andrea, anche conosciuta come abbazia di Novalesa, è un'antica abbazia benedettina fondata nell'VIII secolo e situata nel comune di Novalesa, in valle di Susa. Scopri di più sul sito web dell'abbazia.
LE ORIGINI
All’alba del secolo VIII la regione presso il Moncenisio, con la Valle di Susa e la Valle Maurienne, è soggetta al Regno dei Franchi, in una posizione strategica importante perché zona di confine con il Regno Longobardo, che giunge sino alle celebri Chiuse. All’epoca governa la regione il nobile franco Abbone. Il 30 gennaio 726 egli fonda su terre di sua proprietà un monastero che intitola ai santi Pietro e Andrea, con il consenso del vescovo di st. Jean de Maurienne e di Susa. Vi nomina come primo abate un certo Godone. Come contropartita egli chiede che i monaci preghino per lui e per la prosperità del Regno Franco. La posizione stessa geografica offre l’occasione per esercitare una attività che si continuerà per secoli. Trovandosi sulla importante via di transito, il colle del Moncenisio, i monaci organizzano una casa di accoglienza per i pellegrini, e viandanti. E’ molto verosimile che abbiamo anche questo scopo le donazioni e privilegi che vengono concessi dai re carolingi.
Contemporaneamente la piccola valle Cenischia, con i tre villaggi che essa contiene, Venaus, Novalesa, Ferrera, diviene una unità non solo nel campo religioso, ma anche in quello civile: l’abate vi esercita la giurisdizione ecclesiastica e civile. Intorno all’abate ruota la popolazione della valle, che sia civilmente che religiosamente, dipende dall’abate.
SECOLO IX
La comunità si mantiene nell’orbita della vita religiosa franca. Deve accettare la riforma voluta da Ludovico il Pio con il capitolare monastico dell’817 e che affidata a Benedetto d’Aniane, mirava ad imporre dappertutto in maniera esclusiva la regola benedettina. La figura che domina il secolo è S. Eldrado che fu abate dal 825 al 845 circa di lui scarse sono le notizie biografiche certe. Il Santo ha sollecitudine per i poveri e i bisognosi del luogo, di cui rimane l’eco nelle leggende, simpatiche e ingenue, che ancora oggi si tramandano. Durante il regno di Ludovico il Pio ad Eldrado sono donati l’ospizio del Moncenisio e il priorato di Pagno (presso Saluzzo).
All’inizio del secolo X tutto fa prevedere un futuro roseo. Ma un avvenimento viene a sconvolgere ogni progetto. Verso il 906 una schiera di saraceni, spingendosi dal Frassineto (presso l’attuale Saint-Tropez) punta sull’abbazia di Novalesa. Avuto sentore dell’imminente pericolo, l’abate Donniverto con la maggior parte dei monaci si mette in salvo a Torino, presso la chiesa dei SS. Andrea e Clemente, (l’attuale Consolata), portando con sè gli oggetti più indispensabili e i codici della biblioteca. I Saraceni saccheggiano, appiccano il fuoco agli edifici e fanno alcune vittime, in seguito venerate come martiri (come S. Giusto e Flaviano).
Fortunatamente i profughi trovano il favore di Adalberto, marchese di Ivrea che, qualche anno dopo offre loro le corti di Breme e di Policino in Lomellina. Qui, probabilmente durante il governo dell’abate Belegrino (955-972) si trasferisce la maggior parte della comunità. Passata la burrasca, anche il monastero di Novalesa è riaperto, ma solo come casa dipendente da Breme
Parte di ciò che rimane dell'antico Monastero di Breme, ora adibito a Municipio di Breme
Su questo periodo getta un po' di luce il celebre “Chronicon novalicense”- anno 1060 (conservato all'Archivio di Stato di Torino)- composto verso la metà del secolo da un monaco anonimo. Già fin dai primi anni della ripresa novalicense, molto attivo è lo scriptorium, la cui esistenza è documentata da numerosi codici conservati oggi in diverse biblioteche d’Europa. Ricordiamo, in particolare la stupenda “Biblia magna”, oggi nell’archivio di stato di Torino.
In questo secolo il monastero di Novalesa non appare che una delle più importanti case soggette all’abbazia di Breme, la quale attraversava allora uno dei suoi più splendidi periodi. Tra l’altro il suo abate esercita giurisdizione ecclesiastica su parrocchie, chiese e borgate e sul clero locale. Tali poteri sono stati riconosciuti dal papa cistercense Eugenio III con una solenne bolla del 1151.
I rapporti tra il priorato di Novalesa e l’abbazia di Breme sono tutt’altro che pacifici. La prima aspira a rendersi indipendente, giustificando la sua pretesa con l’antichità delle sue origini e con il suo passato glorioso. Il priore continua a prestare giuramento di obbedienza all’abate di Breme; ma i tentativi di rendersene indipendente continuano, approfittando specialmente dei momenti di crisi. Ricordiamo che proprio allora almeno due volte, nel 1213 e nel 1222 l’abbazia di Breme è devastata dai Milanesi. Tra i monaci di Novalesa e quelli di Breme si giunge perfino ad un lungo processo; i primi dovettero accontentarsi per il momento soltanto dell’autonomia amministrativa.
L’abbazia di Breme già all’inizio del secolo è in decadenza; ma anche il priorato di Novalesa è in crisi. Esiguo è il numero dei monaci; rilassata è l’osservanza regolare, particolarmente circa il voto di povertà; ridotta ad un basso livello è la cultura; critica la situazione economica per l’aumento dei debiti, per le frequenti liti giudiziarie e per la voracità degli usurai che dissanguano le già esauste finanze.
La situazione non migliora, nemmeno durante il lungo governo del priore Vincenzo Aschieri (1399-1452). Anzi, la Santa Sede emana un decreto in forza del quale il nostro priorato viene unito all’abbazia di S. Michele alla Chiusa. Un ricorso dei monaci novalicensi del 21 luglio 1451 impedisce in extremis l’attuazione del progetto. Tre anni dopo il monastero è affidato dai Savoia in amministrazione perpetua al francescano Ubertino Borelli, confessore di Ludovico di Savoia. Così, di fatto, l'abbazia cade in commenda. Tale istituto giuridico è nato per garantire una sana amministrazione delle finanze delle abbazie; ma i “commendatari”, che non sono monaci, dimenticano il loro originario incarico, facendo i propri interessi e intromettendosi negli affari interni della comunità. Nel 1479 la nostra abbazia è affidata in commenda a Giorgio Provana dei signori di Leinì. Da quell’anno il monastero diviene feudo dei Provana che si trasmetteranno il titolo di “priore” sino all’inizio del secolo XVII quando con Antonio Provana (+1640) sarà ripristinato l’antico titolo di “abate”.
Novalesa rimane chiusa nel suo tradizionale isolamento, che la rende fragile e incapace di liberarsi dalla commenda e dalle ingerenze dei Savoia. Non sorprende, quindi, che il monastero sia coinvolto, almeno indirettamente, nelle vicende politiche del tempo e, in particolare, nelle conseguenze delle guerre tra Francia e Spagna, quando il Piemonte diviene teatro di scontri armati tra gli eserciti nemici. E’ dopo una vittoria dei francesi, che il Luogotenente Regio depone dall’ufficio di commendatario di Novalesa Carlo Provana, sostituendolo con un certo Gregorio di Taddei; la tregua, stipulata tra Spagna e Francia nel 1538 riporta alla nostra abbazia l’antico titolare. Proprio alla fine del secolo, nel 1599, il monastero ottiene finalmente dal papa Clemente VIII il ripristino del titolo di “abbazia”, titolo di cui si orneranno solo i commendatari; alla guida diretta dei monaci continuerà un loro confratello con il titolo di “priore”.
Nella prima metà del secolo la comunità è agli estremi; nel 1638 i monaci sono ridotti a tre. Della fine prossima della comunità era preoccupato lo stesso commendatario, Antonio Provana, arcivescovo di Torino, il quale nel 1637 intavola trattative con i Certosini; ma il progetto naufraga, probabilmente per la morte del Provana (+1640). Il nuovo commendatario, Filiberto Maurizio Provana (1640-1684) prende contatto con i Foglianti, cioè con i Cistercensi Riformati di S. Bernardo. Nel 1646 essi giungono a Novalesa, dove è rimasto un solo monaco anziano.
All'abbazia continuano ad esistere due realtà contraddittorie: da una parte la comunità dei “Foglianti, dediti alla preghiera, alla penitenza e al lavoro, sotto la guida di un priore; dall’altra l’abbazia in commenda, ridotta a pingue beneficio ecclesiastico, assegnato dai Duchi di Savoia a propri amici. Ma nel l798 il governo provvisorio, sorto dopo l’invasione napoleonica, decreta la soppressione della commenda e della comunità monastica. Gli edifici sono incamerati dallo Stato; i monaci sono costretti a cercare rifugio altrove.
Il nuovo secolo si presenta con alcune novità fondamentali. Napoleone realizza la nuova arteria stradale che mette in comunicazione Susa con Lanslebourg. Per provvedere alle truppe in transito, ingrandisce l’antico ospizio. Per la gestione di esso è proposto a Napoleone il nome di don Antonio Gabet, già abate del soppresso monastero trappista di Tamié in Savoia con altri monaci. Nel 1803 il governo francese affida al Gabet l’ospizio. Dopo la scomparsa di Napoleone, nel 1818, i monaci scendono alla Novalesa, che è stata donata loro dallo stesso Napoleone. Affluiscono i postulanti, la comunità cresce numericamente. Ma si ha di nuovo la tormenta. Il 29 maggio 1855 il Governo Sabaudo promulga la legge di soppressione per tutti i monasteri del Regno. La legge è attuata per Novalesa la mattina del 25 ottobre 1856. Espulsi i monaci, gli edifici sono messi all’asta e acquistati da un medico che ne fa un albergo per cure idroterapiche. Successivamente diventano residenza estiva del Convitto Nazionale Umberto I di Torino.
Nel 1972 il complesso abbaziale, ormai fatiscente, è acquistato dalla Provincia di Torino e affidato nuovamente ai monaci. Questi provenienti da S. Giorgio di Venezia, vi mettono piede il 14 luglio del 1973. Tra mille difficoltà torna a rifiorire la vita di un tempo. Come una volta le campane scandiscono le ore di preghiera, di lavoro, di lectio divina, nel servizio “a Cristo, unico unico Signore”.